giovedì, Dicembre 12, 2024
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MARIO AUTORE, IL GIOVANE TALENTO CHE HA CONQUISTATO IL CUORE DEGLI ITALIANI CON IL SUO EDUARDO



“Un ragazzo che mi ha dato l’impressione di esser circonfuso da un’aura molto particolare, un’aura di cui probabilmente lui stesso è inconsapevole. Io l’ho vista e ho lavorato per tirarla fuori”, sono queste le parole che Sergio Rubini, regista del film “I fratelli De Filippo” ha usato per descrivere ciò che l’ha spinto a scegliere Mario Autore per interpretare il grande Eduardo. Mario Autore, attore, regista e musicista napoletano, è stato consacrato tra i nuovi talenti emergenti del cinema italiano, grazie alla sua enorme bravura e spiccata sensibilità.

Da dove nasce la passione per il teatro e quando hai cominciato a fare teatro?

“Ho cominciato a fare teatro prima che nascesse in me la passione per questo mondo. L’inizio risale al periodo della scuola elementare con i classici laboratori tenuti da esperti esterni. In prima media ho incontrato due insegnanti con le quali ho continuato a collaborare negli anni e con cui lavoro tutt’ora. Finite le scuole medie, infatti, io ed un altro piccolo gruppo di amici abbiamo deciso di continuare, studiando e poi lavorando con le nostre insegnanti e da lì è partito tutto. Verso la fine del liceo sono stato chiamato per i primi lavori teatrali da professionista, la cosa mi piacque molto ed ho pensato che quella potesse essere la mia strada”.

C’è una figura del mondo del teatro e del cinema a cui ti ispiri?

“Sono tantissimi ma siccome sono tanti a volte potrei anche dire nessuno. Non c’è qualcuno in particolare a cui io mi ispiri o meglio ce ne sono tanti ma non sono famosissimi, mi ispiro al loro modo di vivere il teatro piuttosto che al loro modo di fare teatro, ad esempio, seguo Emma Dante, Pippo Delbono, Arturo Cirillo, Antonio Latella, tutti autori completamente diversi che, secondo me, hanno una qualità autoriale molto personale ed è proprio quello che mi piace”.

Prima dell’esperienza de “I fratelli De Filippo” avevi già partecipato a film o serie tv?

“No, non avevo mai fatto cinema o televisione a parte un piccolo cameo nella prima serie de “I bastardi di Pizzofalcone”. In passato avevo girato alcuni cortometraggi, uno da regista e uno da attore, una pubblicità ma per lo più avevo fatto teatro, non solo da attore ma anche da regista, compositore e tecnico. Ho fatto tanti laboratori ma nulla per quanto riguarda il cinema e la televisione. “I fratelli De Filippo” è stato il mio debutto nel mondo del cinema”.

Nel film il tuo personaggio è Eduardo De Filippo: che lavoro hai fatto per interpretare al meglio una figura così particolare come quella di Eduardo?

“Quando si pensa ad una persona come Eduardo, con un nome ed un carattere così forti, si immagina che la sua sia una figura molto complicata, in realtà, la vita di Eduardo, come si evince dalla sua biografia, non è stata così piena di follie. Un personaggio sicuramente particolare che risulta sempre molto difficile da definire, tanto da far emergere molti conflitti che lui stesso non ha mai risolto. Eduardo utilizzava il teatro come metodo per sublimare i propri problemi: in “Filumena Marturano”, “Sabato, domenica e lunedì”, “Napoli milionaria”, “Natale in casa Cupiello” ci sono degli evidentissimi riferimenti alla propria esperienza personale, “Filumena Marturano” in primis, e credo che lui abbia tentato di risolvere tutti i suoi conflitti attraverso la drammaturgia. Io, personalmente, ho cercato di non risolvere queste contraddizioni, mantenendole sempre vive, e di non prendere una posizione definitiva. Noi attori cerchiamo sempre di farci piacere i personaggi e quindi evitiamo di renderli o troppo buoni o troppo cattivi per “salvarli”. Personaggi storici che sono realmente esistiti, come Eduardo, non possono essere “salvati” altrimenti si andrebbe incontro ad un “falso storico”. Tutti quanti possiamo essere Macbeth perché nessuno è stato Macbeth ma nessuno può essere Eduardo perché c’è stato Eduardo. Il mio intento era quello di renderlo quanto più realistico possibile mettendo in evidenza tutti i suoi conflitti senza mai scioglierli”.

Della figura di Eduardo quale caratteristica ti ha colpito di più?

“Sicuramente la cosa che mi colpisce di più, per una questione puramente personale, è la sua ossessione, da un certo punto di vista sana ma sotto altri punti di vista un po’ meno sana però vissuta sempre in maniera egosintonica, come direbbero gli psicologi, perché Eduardo non aveva problemi con il suo essere ossessionato dal teatro o con il suo modo ossessivo di fare teatro, ma lo viveva come se quello fosse il modo giusto di fare e vivere il teatro. Questa, infatti, era una delle ragioni principale per cui veniva considerato così severo, perché per lui era assolutamente normale fare cose che per altri erano assurde, complicate. Un’altra caratteristica che mi ha molto colpito è la sua determinazione nell’avere dei risultati e nel cercarli in un determinato modo”.

Come si può leggere dalla tua biografia, sei laureato in psicologia. I tuoi studi ti hanno aiutato a capire, conoscere ed interpretare Eduardo?

“Oltre ad essere laureato in psicologia, sono appassionato di psicoanalisi. Nel mio lavoro cerco sempre di utilizzare gli schemi della psicologia per capire i personaggi e motivare le loro azioni. Sono del parere che questi schemi servano molto e sono convinto che tutti gli attori, chi consapevolmente e chi inconsapevolmente, partano da questi schemi. Ognuno di noi ha una propria visione del mondo in funzione della quale motiviamo le azioni dei personaggi, partendo da quelle che secondo noi sono le ragioni che li hanno spinti a fare quella determinata cosa. Io, personalmente, parto dalla psicoanalisi di stampo Freudiano e quindi penso sempre che i personaggi non vogliano il proprio bene e che siano sempre alla ricerca della sofferenza. Per questo posso dire che i miei studi mi hanno aiutato molto ad interpretare Eduardo”.

Ritornando al film, com’è stato lavorare con Sergio Rubini?

“Ho adorato lavorare con Sergio! Per me, infatti, è stato come aver fatto un master perché Sergio mi ha insegnato tantissime cose, a volte senza volerlo. Ha un’esperienza talmente grande, una conoscenza approfondita della materia ed un modo personale di fare cinema che bastava seguirlo per capire. Poi avendo avuto dei colleghi talmente bravi, dei veri e propri mostri, è stato tutto più semplice e fluido. Quella de “I fratelli De Filippo” è stata un’esperienza molto formativa e bellissima. Spero e non vedo l’ora, se lo faremo, di girare il sequel”.

Il rapporto tra i fratelli De Filippo, come si evince dal film, era fatto di momenti di sintonia alternati a momenti di contrasto, soprattutto tra Eduardo e Peppino. Il tuo rapporto con Anna Ferraioli Ravel e Domenico Pinelli, invece, è stato subito un rapporto di sintonia?

“Il rapporto con Domenico ed Anna è iniziato in due momenti diversi: con Domenico ci siamo conosciuti durante l’ultimo provino per Eduardo ed io ancora non sapevo che lui sarebbe stato Peppino, mi dissero semplicemente che mi avrebbe fatto da spalla. Mentre interpretavamo la scena, nella mia testa pensavo: <ma questo ragazzo è veramente bravo perché non lo prendono a fare Peppino, è perfetto>. Quando l’ho conosciuto avevo una sorta di timore reverenziale nei suoi confronti, perché pensavo: <quanto è bravo questo attore, devo fare bella figura>, poi ho scoperto che sarebbe stato Peppino quindi mi sono tranquillizzato. Da lì è partito un grande rapporto di amicizia e ne sono contentissimo. Ho composto anche le musiche per il suo ultimo spettacolo “London Pub”, quindi, è nata anche una bella collaborazione tra di noi. Anna, invece, l’ho conosciuta uno dei primi giorni di lettura del copione. È vulcanica, ha una presenza forte che mi ha conquistato ed anche con lei ho un bellissimo rapporto. Siamo diventati tre fratelli grazie a questo film. Sergio ci ha ripetuto spesso: <io non ho scelto solo degli attori, io ho scelto delle persone, perché posso avere un attore bravissimo che però non funziona bene con gli altri e mi rovina il film> ed è verissimo. Nelle esperienze artistiche e di gruppo non conta la qualità della persona singola ma conta la qualità personale che fa lavorare in sintonia il gruppo. Sul set, infatti, è accaduto questo, noi tre abbiamo talmente fatto squadra e successivamente è successo anche con il resto del cast, che nel momento in cui dovevamo girare le scene familiari ci sembrava di stare realmente in famiglia”.

In quale scena Mario si è emozionato di più e in quale si è divertito di più?

“C’è una scena alla quale sono particolarmente legato, che è quella del monologo tratto da “Ditegli sempre di si”, quando Eduardo è da solo e scrive. Nella didattica teatrale questo viene definito “momento privato”. Chi fa teatro vive sempre nella vita un momento del genere ed è quindi un momento di grande verità. E’ stato molto emozionante girarlo, anche se nella versione definitiva del film è stato molto tagliato. Quello che invece mi ha divertito di più sono state sicuramente le prove di Sik Sik, lì avevamo veramente difficoltà a non ridere. Domenico litigava continuamente con il colombo che doveva tenere sotto al cappello, aveva molta paura dei colombi. Ho impressa nella mente l’immagine di lui che con il cappello in testa continuava a ripetere <mi sta beccando, mi sta beccando, che devo fare? Mi sta beccando>, ma da grande professionista è riuscito a sconfiggere la sua paura e a girare la scena”.

Che impressione hai avuto rivedendoti sul grande schermo?

“Quando mi sono rivisto, ovviamente, ho notato tutti i miei difetti molto prima di notare i pregi e ci ho messo un po’ per abituarmi alla mia faccia sul grande schermo. Era la prima volta che mi vedevo quindi non avevo l’abitudine a vedere come sono in scena. Adesso, invece, mi sono abituato per cui mi sembra tutto bello ciò che ho fatto. È come se fossi entrato in una sorta di schema automatico per il quale è tutto bello, anche se, nella mia testa, so che quella battuta, ad esempio, è stata fatta molte volte. Magari è stata scelta una che nel mio immaginario non era quella che era venuta bene, ed invece adesso dico <si è lei!>”.

Le colonne sonore del film sono state composte dal M° Nicola Piovani. Secondo te, quanta importanza ha la musica nella realizzazione di un film?

“In un film del genere la musica è fondamentale. Vengono utilizzati i leitmotiv, in pieno stile wagneriano, che aiutano ad identificare personaggi, situazioni particolari e stati d’animo ricorrenti. Con una musica diversa, il film sarebbe stato completamente diverso. Io compongo per lo più musica di scena, ho composto musiche per spettacoli teatrali, cortometraggi, quindi musica multimediale applicata. Chi viene dalla musica assoluta ha molta difficoltà a capire che, nel creare un film, tutti i reparti devono essere a servizio del film stesso. La recitazione, la macchina da presa, la fotografia, i macchinisti, la scenografia, i musicisti devono seguire l’idea principale. Per questo la musica in un film è fondamentale, perché una musica diversa porterebbe gli attori ad interpretare la scena in maniera diversa”.

Per concludere, quali sono i tuoi progetti futuri?

“Mi sto preparando per un film che verrà girato in autunno in cui interpreterò un musicista e sto lavorando a varie cose, tra cui il “Don Giovanni”, che finalmente riuscirò a portare in scena”.

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