L’Associazione “Amici di Gabriele Mattera”, con il patrocinio della Regione Campania, in collaborazione con la Galleria Paola Verrengia di Salerno e grazie a Stefania Marano, è lieta di annunciare AMARE IL MARE, una importante retrospettiva di Ugo Marano, a cura di Antonello Tolve, che si terrà in vari spazi del Castello Aragonese di Ischia, dal 13 luglio al 30 settembre 2024.
«Quel mondo di oggetti semplici trasformati, di abitudini reinventate, di tradizioni rinnovate mi aveva rapita e regalato la consapevolezza che proprio di questo, in fondo, veniamo investiti confrontandoci con l’opera di Marano: ci viene consegnata una responsabilità verso chi o cosa abbiamo attorno. Ugo Marano ha sempre pensato al suo lavoro come gesto di cura dei luoghi e delle comunità, come stimolo per la ricerca di un senso della memoria. Questa idea è stata — per noi che abbiamo fatto una missione di vita della cura di un luogo, conservandolo, preservandolo e allo stesso tempo facendolo vivere in ogni modo possibile — l’illuminante conferma di avere trovato un ideale compagno se non di viaggio, certamente di visione della vita, della cultura, dello stare al mondo: la cura e non il consumo, la riflessione e non la distrazione, la produzione di idee e oggetti e non la sterile conservazione del passato» dichiara Anna Cristina Mattera presidente dell’associazione Amici di Gabriele Mattera. «Carichi di valenze simboliche e di sterzate fantastiche dove rientrano esseri d’una natura reificata o strumenti della cultura quali la scrittura e la riflessione sull’arte, i lavori di Ugo Marano sgranano ogni forma di prevedibilità e se da una parte rendono palese il rapporto tra oggetto e individuo, dall’altra aprono a una intensa attività in cui mano mente e materia si intrecciano tra loro per far scivolare il pensiero sul ritmo delle cose, per sperimentare, per disegnare immagini di sogni che non possono sognarci e che forse giocano a guardarci» scrive il curatore della mostra nel suo testo in catalogo.
Dell’ampio e impareggiabile percorso radical-concettuale-utopico di Marano, questa mostra propone un grande ventaglio di opere in cui si coglie un percorso polifonico («un magma visionario e calligrafico senza fine», «una poetica fuori dal tempo» a detta di Alessandro Mendini) scandito da tappe brillanti che mettono sempre sotto scacco la monotonia del quotidiano per dar luogo a oggetti e progetti provocatori, a teorie utopiche, a installazioni altamente rituali e a rotture rivoluzionarie dall’indubbia originalità (Dorfles).
Accanto a una serie di maestosi vasi in cui si evince tutta la forza di un pensiero che coniuga la tradizione artigianale della Costiera Amalfitana all’innovazione determinata da una riflessione senza fissa dimora sugli strumenti dell’arte, AMARE IL MARE presenta anche delle sculture in lamiera di ferro realizzate dall’artista a partire dal 1967, anno in cui sente appunto l’esigenza di elaborare un discorso sugli Arrugginibili: opere numerate in progressione da 671 mediante le quali Marano innesca un naturale principio di invecchiamento del metallo e trasforma il tempo – come pure il mare, l’acqua salata – in materia dell’arte.
Una sfilza di sedioline in terracotta invita, poi, a riflettere sulla sedia in quanto cifra semiotica e in quanto emblema d’una relazione tra estetica e design. Si tratta delle meravigliose Signore sedie dalla venatura antropomorfa realizzate a partire dal biennio 1979-1980 e ognuna indicata dall’artista con un nome suo proprio che ne evidenzia la singolarità: c’è la Sedia dei sogni interrotti, quella del geometra amico di Bonalumi, quella Con/creta, quella dell’alpinista in pensione, quella X Filiberto Menna e quella di Fontana, quella di Deleuze e quella di Argan, quella in architettura o ancora quelle dedicate ai giorni dell’anno, come Sedia 24 novembre, Sedia 16 dicembre o Sedia 18 dicembre.
«Grandi piatti, alcuni lavorati anche con la tecnica della cucitura in fil di ferro (Ego Strumento del 1978 ne è esempio lampante), Sedia evviva (1979), Sedia del pensiero (1986) o Evviva! Sedia dell’accoglienza (1996) sono – assieme a poderose installazioni come Casa mia (1988) o ad alcuni tavolini sulla cui superficie il pensiero scivola felice – parti di un racconto disseminato, quasi inciampi oftalmici obbligati negli spazi del Castello Aragonese di Ischia, con l’idea di creare un grande Gesamtkunstwerk, un rapporto di partecipazione e allegorica sintesi tra le opere e lo spazio che le ospitano, un vibrante e toccante legame con un luogo, l’isola, a cui Marano è tornato più volte per ritrovare gesti creativi elementari, per sognare e disegnare una infinita e lenta capacità di meditare, per elaborare profezie e pagine d’amore senza fine» (A. Tolve).