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“LETTERE DAL LAGER”, AL TORRIONE DI FORIO IL RICORDO DELL’OLOCAUSTO E DI TUTTI I GENOCIDI

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Le lettere inviate dai campi di sterminio ci fanno immergere nella terribile realtà dei vari campi di concentramento disseminati dal regime nazista in varie località europee, mostrandoci la vita quotidiana al loro interno, le speranze e le preoccupazioni di chi sapeva che non avrebbe più rivisto la propria casa e i propri cari. Poiché uno degli intenti dei regimi totalitari e in particolare quello nazifascista, è di annichilire l’identità umana, anche la corrispondenza era soggetta a rigidi controlli.

Tra il 1942 e il 1945 fu attiva la Brief-Aktion, un sistema di monitoraggio della corrispondenza tra i deportati ad Auschwitz e le loro famiglie. Cartoline brevi, che in un’Europa segnata dalla guerra riuscivano incredibilmente ad arrivare a destinazione, rappresentando spesso per chi era rimasto o era riuscito a nascondersi l’unica occasione di contatto con i propri cari. La necessità di non dimenticare, anche con il supporto di queste testimonianze, è quanto mai urgente e compulsiva e le atrocità passate vanno studiate, non per esorcizzarle con un semplice “Ormai non potrà più accadere”. Il rischio è proprio quello: l’oblio.

La necessità di non dimenticare fu sancita, con risoluzione 60/7 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1º novembre 2005, durante la 42ª riunione plenaria, quando venne designato il Giorno della Memoria, una ricorrenza internazionale da celebrare il 27 gennaio di ogni anno come giornata per commemorare le vittime dell’Olocausto. La data fu scelta per celebrare il sessantesimo Anniversario della Liberazione dei campi di concentramento nazisti e la fine dell’Olocausto, perché in quel giorno del 1945 le truppe dell’Armata Rossa, impegnate nella offensiva Vistola-Oder in direzione della Germania, liberarono il campo di concentramento di Auschwitz.

Per evitare che si ripetano le atrocità vissute nei vari campi di sterminio nazisti e non solo, esse non devono essere coperte dalla coltre dell’oblio, perché uomini senza memoria generano mostri, come ampiamente dimostra una classifica facilmente reperibile sul web.
Come consuetudine, per fugare colpevoli silenzi sull’argomento, anche l’Associazione Culturale Radici, con i pochi mezzi a disposizione, ma con la determinazione profusa dal compianto Capitano Giuseppe Magaldi, intende esprimere il proprio contributo alla Memoria, una memoria che vada oltre la celebrazione, che sia consapevole riflessione sui gravissimi crimini commessi dall’umanità nei confronti di propri simili.

Avvalendosi della collaborazione degli allievi della scuola di recitazione “Il Tempo e lo Specchio”, operativa al Torrione dallo scorso ottobre e diretta dal regista e scrittore Eduardo Cocciardo, (di cui potete leggere di seguito un prezioso elaborato), propone un reading di significative lettere (alcune veramente viaggiate) e, con l’auspicio che la manifestazione possa indurre alla riflessione non solo per il breve attimo dell’intrattenimento, invita Voi, gentili lettori, a partecipare numerosi alla cerimonia commemorativa, per sostenere il proprio disprezzo verso tutti i genocidi storicamente
perpetrati, intervenendo con la Vostra testimonianza.

Luigi Castaldi

Venerdì 27 gennaio, alle ore 17, presso il Museo Civico del Torrione, in occasione della Giornata della Memoria, nell’ambito di un evento organizzato dall’Associazione Radici, andrà in scena la performance teatrale Lettere dal Lager, ideata e diretta da Eduardo Cocciardo, con gli allievi del Corso di Recitazione Il Tempo e lo Specchio. Lo spettacolo, arricchito da una straordinaria scenografia realizzata dall’artista Raffaele De Maio, si propone, con un gioco visivo e sensoriale e con un collage di testimonianze dirette, di far immergere lo spettatore nel cuore di una delle più terribili tragedie che l’umanità abbia mai conosciuto: la Shoah. L’obiettivo della messa in scena sarà dunque quello di non limitarsi, come spesso accade, ad una mera commemorazione.

La memoria, infatti, conserva e digerisce ricordi, per provare sempre a vedere oltre, senza mai guardare attraverso. Immergersi, o, in senso eminentemente teatrale, immedesimarsi, essere cioè se stessi nell’altro, costringe l’esercizio della memoria a snaturarsi, o magari ad approfondirsi: il ricordo è solo il punto di partenza, perché, spezzato il suo atomo, il tempo si ferma e si prova a rivivere tutto.

Come se non ci fosse un domani. Come se non fosse mai avvenuta una liberazione. Difatti, a pensarci bene, quale liberazione può essere mai avvenuta per chi, come la maggior parte degli ebrei, non è potuto uscirne vivo, o anche per chi, pur essendone uscito, non è mai riuscito a liberarsene dentro? Il teatro, come dovrebbe essere nella sua natura, deve provare a far rivivere spazi e tempi, a rimettere in moto il pensiero critico, a rimettere in circolo la verità, anche a costo di prendere a pugni lo stomaco, perché nulla può essere più autentico e irripetibile di un’esperienza teatrale. Il teatro non è, per sua natura, un momento di piacevole passività, ma un passaggio di consegne, un dare ed avere, un gioco
interattivo che costringe il pubblico a essere con gli attori parte di una rinascita. Nel senso proprio di ritrovarsi in un altro tempo ed in un altro spazio, compartecipando così ad un momento assolutamente rituale.

Questa la particolare esperienza che la performance proporrà al pubblico. Ad interpretarla, un gruppo di giovanissimi studenti di recitazione, con qualche innesto più maturo, che, al pari dei primi, si sta appena avvicinando al linguaggio teatrale e cinematografico: Maria Rita Ascanio, Marika Baldino, Raffaele De Maio, Margherita Di Maio, Giovanni Gallo, Mariaflora Ielasi, Viola Manna, Francescopio Palomba, Cinzia Ursomanno, Angela Verde. E che siano soprattutto i giovanissimi a rivivere e far rivivere quella tragedia, è di sicuro l’aspetto più importante della messa in scena: un ponte fra un passato ed un futuro che continuiamo, nonostante tutto, a sognare migliore.

Eduardo Cocciardo

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