Davanti alle macerie del Plesso Montemurri, oggi in fase di demolizione per lasciare spazio a una scuola nuova, moderna e sicura, Corrado Visone si ferma e guarda. Non solo con gli occhi, ma con il cuore. Quello che vede non è solo cemento che crolla, ma frammenti di un’infanzia vissuta intensamente tra quelle mura.

«Sicuramente rinascerà più bella, antisismica, adeguata alle ultime normative europee e utilizzerà materiali di ultima generazione – scrive – però è lì che mi sono innamorato la prima volta, e lei è bellissima ancora oggi.»

Ogni angolo della vecchia scuola è un ricordo che riaffiora: l’androne dove si mangiavano panini al prosciutto cotto comprati alla salumeria di fronte, con il resto in Goleador; le recite natalizie dove sognava di essere San Giuseppe o almeno un angioletto, ma finiva sempre a fare il pastore con la zampogna. Le scale dell’ingresso diventavano campi da gioco improvvisati, grembiuli sporchi e ginocchia sbucciate erano il segno di giornate piene di vita.
In un’aula al secondo piano, incide il nome del fratello su una sedia, inciampa e perde un dente: «Lì ho scoperto anche la mia predisposizione per l’imbranatezza», scrive con ironia. Ma c’è anche spazio per il dolore, per il ricordo di un compagno di banco che da un giorno all’altro non è più tornato: «Ce lo avevano ammazzato.» scrive con una semplicità tale, da lasciare il segno.
E poi, un pensiero che è insieme proposta e tributo: «Con tutto il rispetto per la signora Zabatta Agata Montemurri, sarebbe bello che la scuola nuova portasse il suo nome.»
Il Plesso Montemurri non è solo un edificio da ricostruire: è un luogo che ha formato generazioni, che ha custodito sogni, risate, ferite e scoperte. E mentre le ruspe avanzano, le parole di Corrado Visone ci ricordano che ci sono cose che non si demoliscono mai.