È un urlo strozzato dal cemento e dalla disperazione il mio. È un urlo che sale dritto alle orecchie dei politici dell’isola di Ischia. Un urlo che si leva tra le macerie di ciò che non è solo un muro, un tetto, un mattone, ma l’ultimo, disperato rifugio di chi nella vita ha già perso tutto. Mentre le ruspe avanzano, non abbattono semplicemente degli abusi edilizi; stanno demolendo la dignità, stanno polverizzando il diritto alla pietà, stanno seppellendo sotto una coltre di polvere e indifferenza il futuro delle famiglie più fragili.
Lo Stato, che dovrebbe essere un faro nella tempesta, un guardiano dei più deboli, qui si è trasformato in un esattore spietato, cieco e sordo. Un accanimento burocratico e crudele che colpisce non i potenti, non gli speculatori, ma chi un tetto sulla testa lo ha costruito per necessità, per sopravvivere. È l’abbandono istituzionale che si fa tragedia quotidiana. La classe politica, assordata dal rumore dei suoi stessi proclami, non sente il grido di dolore che si alza dalla mia e da altre famiglie. Un grido che è un fiume in piena di paura e disperazione.
In questo coro di angoscia, la mia voce risuona con forza. La mia storia non è una statistica, è una ferita aperta che gronda dolore su dolore. Alla già gravosa croce della disabilità di mio padre, si è aggiunto il lutto più atroce, quello che nessun genitore dovrebbe mai conoscere: la perdita prematura di un figlio in grembo. In quella casa, quella che le ruspe vogliono ridurre a un cumulo di calcinacci, ci sono i sogni sepolti di una madre e le lacrime mai asciugate per una vita mai nata.
E ora, ai miei figli che hanno già visto il dolore sfiorare la loro famiglia, cosa si vuole infliggere? Il trauma della perdita della loro casa, il nido dove forse hanno imparato a sorridere di nuovo dopo la tempesta? Privarli del loro spazio sicuro, dei loro ricordi tra quelle mura, significa infliggere una seconda, terribile ferita. Significa aggiungere un danno immane a chi è già stato toccato da tragedie che segnano l’anima per sempre. È una crudeltà inutile, una punizione per un dolore già troppo grande da sopportare.
Per questo, oggi, con la voce rotta dall’indignazione, mi rivolgo alle più alte cariche dello Stato e della Chiesa. Ai Signori Presidenti, ai Cardinali, a chi detiene il potere e la morale: fermate questa follia. Scendete da quelle alte stanze e guardatemi negli occhi, guardate i miei bambini, ascoltate il silenzio assordante lasciato da un figlio mai nato. Non si può risolvere un’ingiustizia con un’ingiustizia più grande. La legge deve avere un cuore, la giustizia deve avere pietà. Chiedo una sospensione, un atto di umanità che ponga al centro le persone, non i rigidi dettami di una burocrazia senza volto.
E mentre la mia famiglia lotta per la loro sopravvivenza, dove sono i paladini locali? Dove si nasconde la classe politica isolana? Essi, invece di ergersi a scudo dei propri concittadini, voltano il viso dall’altra parte. Manifestano una finta, patetica partecipazione, per poi scomparire quando le ruspe si mettono in moto. La loro è un’assenza che grida vendetta al cospetto del cielo, un tradimento silenzioso che pesa più del cemento che crollerà. Sono spettatori della tragedia, complici con il loro immobilismo.
Ischia non è solo un’isola da cartolina. Oggi è il simbolo di un’Italia che abbandona i suoi figli. È il luogo dove lo Stato, invece di sollevare chi è caduto, calpesta con il suo piede di ferro le dita di chi si aggrappa al dirupo. Non demolite la mia casa e delle altre famiglie. Perché quelle case, oggi, sono l’ultimo baluardo di un’umanità che rischia di essere cancellata per sempre dall’indifferenza.A dimenticavo sono stata 2 volte dal sindaco Enzo Ferrandino per esporre la nostra problematica a cercare aiuto ma ho trovato molto sinceramente una persona distante dalla nostra problematica quasi complice e ora che il nostro sindaco prende atto non sola della tragedia della nostra famiglia ma di tutti che stiamo vivendo questa situazione ti chiediamo aiuto serio!!!
A dimenticavo una cosa molto più importante a pochi passi da casa mia pochissimi si costruisce ancora abusivamente!
Francesca Rotolo














