Mentre l’isola di Ischia vive la sua stagione più intensa, tra turismo e giornate assolate, una vicenda dolorosa scuote la comunità di Forio. È la voce di Domenico Barone a raccontare ciò che è accaduto lo scorso 26 giugno, alle dieci del mattino, quando un gruppo di circa venti agenti tra polizia, carabinieri e vigili urbani, accompagnati da un procuratore, ha bussato alla porta della sua abitazione.
La comunicazione è stata secca: lasciare la casa entro le 17. Nessun avviso preventivo, nessun margine di manovra. Una manciata di ore per salvare il salvabile, grazie alla solidarietà di amici, parenti e conoscenti accorsi immediatamente.


Ma il momento più drammatico arriva proprio alle 17, quando due operai incaricati irrompono all’interno e, armati di pesanti martelli, distruggono sanitari, abbattono pareti, devastano la cucina. Il tutto documentato con fotografie da inviare alla Procura, come previsto dall’ordinanza.
Barone, con un video divenuto virale sui social, racconta con incredulità e rabbia che la parola utilizzata dal procuratore fu “vandalizzare”. Ed è difficile non sentirsi colpiti quando si legge la sua testimonianza: una casa costruita negli anni 70, su un terreno dove il nonno aveva ottenuto un condono edilizio nel 1985 e rifinita nel 2000, utilizzata anche per ospitare, nel 2017, una famiglia colpita dal terremoto di Casamicciola. Una casa sicura, antisismica, costruita con sacrificio e nel rispetto di ogni criterio normativo.
Eppure, tra tante abitazioni nate successivamente, quella di Barone è stata abbattuta. Perché? La sensazione, forte e pungente, è che la legge colpisca solo chi prova a mettersi in regola, lasciando intatte situazioni ben più gravi.
Nel suo appello amaro, Barone si rivolge alle istituzioni e al Comune di Forio, chiedendo se ora riescano a dormire tranquilli. Il suo messaggio è anche indirizzato a un vicino che, tanti anni fa, guardava con invidia alla sua casa: non gli augura lo stesso dolore, ma spera che almeno possa trovare pace con la propria coscienza.
In fondo, questa non è solo una storia personale. È un grido che chiede ascolto, che denuncia una ferita aperta nell’anima dell’isola. Perché dietro ogni struttura c’è una storia, una famiglia, una vita.